Paolo Marcelloni Paolo Marcelloni Paolo Marcelloni Paolo Marcelloni Paolo Marcelloni Paolo Marcelloni Paolo Marcelloni
     
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Lezione n° 18

QUANDO L’INFORMAZIONE PROVA A SOFFOCARE
LA COSCIENZA CRITICA DEI POPOLI

Il titolo di questa nuova lezione (non sarà una lezione) mette subito fuori strada il lettore, questa volta dove vuole andare a parare Paolo?
In questi ultimi decenni in Italia la cattiva informazione o meglio la manipolazione dell’informazione e della verità, hanno avuto un ruolo determinante nel condizionare pensieri e comportamenti.
Sentire notizie su politici che rubano, investimenti pubblici mai realizzati o avvenuti in tempi e modalità dubbie, banche che giocano sui risparmi di onesti lavoratori, modelli di riferimento presi dai tolk show spazzatura, la giustificazione dello sport corrotto e drogato, sembra sia diventato in Italia normalità, nessuno più si meraviglia di queste cose!
Il ruolo del tecnico sportivo, quindi il nostro di tecnici di pattinaggio, non credo sia stato contaminato da questa giungla che circonda noi e i nostri atleti.
Ci siamo sempre dovuti confrontare con “le persone” prima e con gli “atleti” poi, abbiamo dovuto giocare sempre a carte scoperte per non imbrogliare chi ci dava fiducia e noi stessi.
Nel 2011 ho osservato il mondo del pattinaggio dalla finestra, ma non da una finestra normale, ma da un punto di osservazione privilegiato: ho seguito gare, ne ho organizzate, ho avuto l’opportunità di collaborare con qualche squadra, ho seguito il percorso e la crescita di quegli atleti che ritengo abbiano eccellenti qualità tecniche (oggi difficilmente riscontrabili nello scenario italiano), ho organizzato allenamenti all’estero in impianti nei quali si mettono a nudo le difficoltà dimostrate in campo internazionale, ho seguito il nuovo percorso della scuola di pattinaggio per allenatori (oggi SIRI), le modifiche ai regolamenti, ho letto con attenzione i lavori che esperti colleghi hanno presentato, sono andato con piacere a seguire e filmare il mondiale in Corea e con grande rassegnazione ho assistito a quanto tutti ci aspettavamo.
E’ certo che chi manipola l’informazione troverà già da queste prime righe un mio atteggiamento polemico al problema (si vuole veramente il rilancio del settore corsa?), è stato così anche quando ho fatto osservare alcune personali perplessità (alla convention di Roma) in merito a corsi allenatori e tipologie di raduni e/o collegiali.
La libertà di pensiero, il confronto tra le parti, l’obiettività di quello che si è fatto nel bene e nel male, restano elementi fondanti di una comunità che vuole crescere.
Tutte cose che in questi ultimi tempi sembra si vogliono mettere in atto, condivisibili, mentre invece solo un anno fa mi fu risposto che quanto chiedevo “era irricevibile e lontano dalle aspettative federali”.
Ma nessuno può convincermi del contrario che dietro tutto questo “ipotetico nuovo corso” c’è sempre e in forma oppressiva la mano del “Grande Fratello”.
A parte qualche input arrivato dalla Scuola dello Sport, il modo di operare continua ad essere di ordinaria amministrazione, un obbligo a fare raduni regionali più per giustificare l’attività federale che per una effettiva efficacia degli interventi.
Tutti i tecnici federali e quanti ne hanno preso parte (atleti, tecnici e dirigenti), più o meno palesemente sanno di non aver trovato nulla in più di innovativo, interventi inefficaci sia per i numeri dei presenti, sia per gli impianti nei quali il lavoro si è dovuto svolgere.
Sì “dovuto svolgere”, perché con la scusa che il presidente federale vuole i raduni regionali, si spostano da anni energie economiche e umane senza porsi minimamente il problema del risultato da ottenere e i raduni regionali così confezionati non servono a nulla.
Molti colleghi mi hanno fatto sapere di cosa veniva fatto sul campo, di cosa veniva detto ai tecnici, di quali fossero gli obiettivi futuri.
Cerco di sintetizzare alcuni elementi emersi in questi incontri:

  • Dobbiamo allenarci di più.
  • Dobbiamo cominciare a pattinare alla coreana.
  • Non dobbiamo specializzare i nostri atleti.
  • Il pattinaggio in linea è cambiato.
  • Dobbiamo collaborare di più.
  • Altro…

Condivido a pieno il punto il punto 5 (sul punto 6 ci soffermeremo più avanti), ma sugli altri non trovo corrispondenza con la realtà e soprattutto mi sembra che l’analisi obiettiva della situazione (vedi filmati dell’ultimo mondiale) sia latitante e non la si voglia vedere.
Cominciamo con una analisi dei fatti.

Punto 1 (dobbiamo allenarci di più)
 · Il controllo dell’allenamento
Il controllo dell'allenamento si deve indirizzare verso quattro obiettivi:
1) esame della condizione fisica generale;
2) esame delle condizioni fisiche particolari;
3) esame della tecnica;
4) esame della qualità dell'atleta in condizioni di gara.
Dalla relazione del responsabile SIRI Maurizio Lollobrigida, ho estrapolato uno dei primi punti o principi universali dell’allenamento (il controllo dell’allenamento).
Un ottimo lavoro di raccolta e indicazioni pratiche per il tecnico, necessarie (ma già conosciute basta aprire qualche libro di metodologia che molti hanno a casa), forse alcune un po’ obsolete seppur ancora valide (molti test proposti erano di rutine durante la gestione Giuseppe Cantarella nei centri di alta specializzazione), una unica proposta mirata al pattinaggio la modificazione del test di Cooper (di Lollobrigida), poi una indicazione da far rabbrividire cioè quella del mini test di Cooper (6 minuti invece che 12) da proporre a giovanissimi e esordienti (vi siete accorti leggendo che non esistono nei testi ufficiali tabelle di riferimento per tali età e la tabella di comparazione presentata con le varie prestazioni del suddetto test parte dai 13 anni?).
Apprezzabile il lavoro (leggermente rielaborata la sua relazione dell’ultimo corso di aggiornamento internazionale per allenatori di Roma), ma io avrei chiesto al relatore (ad esempio), come negli ultimi tre anni le componenti di forza di alcuni suoi atleti si fossero modificate e con quali mezzi e metodi fossero state stimolate? I test di balzo singolo, triplo o altro quali valori avevano dato negli anni e nelle fasi del macrociclo?
Elencare una serie di test e non farne nella realtà un uso sistematico non servono a nulla.
Un’altra osservazione su quanto proposto nella proposta di Lollobrigida in merito al test di Cooper in bicicletta: si richiede la massima distanza nei 12 minuti, poi in “grassetto” si dice che la prova va effettuata utilizzando rapporti agili!!! Non è una indicazione corretta per due motivi, il primo se voglio percorrere la massima distanza utilizzerò (in pianura è stato indicato) il rapporto che mi permette di percorrere più metri con una pedalata ed erogare la giusta potenza nei 12 minuti, il secondo è legato a uno degli elementi necessari per un test, “la ripetitività e la standardizzazione” dire rapporto agile e non indicarlo con precisione in modo da fare il test successivo con le stesse modalità, è come non dire “nulla”.   
Misurare spazi o distanze percorse, chili sollevati, tempi, lattato prodotto, watt erogati, etc., è quanto di più semplice ci possa essere, se si è in possesso di un metro, un cronometro, strumenti di misurazione adeguati, quello che fa la differenza e qualifica il lavoro rendendolo utile per l’atleta e il tecnico è:

  • perché fare quel test,
  • sapere cosa è stato fatto prima e con precisione per avere quella prestazione,
  • cosa proporre successivamente per far sì che la valutazione successiva dia l’auspicato miglioramento.

Al numero 2, “esame delle condizioni fisiche particolari” mi sembra di aver letto poco, sull’esame della tecnica e sull’esame della qualità dell’atleta in condizioni di gara… NULLA!!!
Spero sia un lavoro in corso d’opera, proprio su questi punti si era arenata la collaborazione con la scuola dello sport già dagli anni 1995-1996.
Non ci sono test in letteratura codificati per il pattinaggio e solo noi tecnici possiamo essere in grado di valutare le capacità tecniche di un atleta, le sue competenze tattiche in gara, queste sono le carenze oggettive fatte riscontrare dai nostri atleti alle gare internazionali.
Misurare la motivazione soggettiva di ogni atleta a volersi impegnare e sacrificare per vincere, la voglia di affiliazione ad un gruppo come è la Nazionale, sono altri elementi difficilmente misurabili.
Sia per gli aspetti tecnici che per quelli motivazionali non mi sembra di scorgere per il momento figure federali con competenze, esperienze, modi di comportarsi, adeguati a queste impellenti esigenze.
E su questi due punti (non trattati) che si inquadrano i nostri migliori atleti, sono stati in grado di far bene perché è in loro possesso tecnica e tattica di gara (ancora migliorabili), mentre con la stragrande maggioranza degli altri, carenti di queste caratteristiche, abbiamo avuto gli insuccessi che conosciamo.
Sempre in riferimento al punto 1, ho letto le relazioni degli allenatori Alessi, Bocola, Storti, il primo della vecchia guardia ma ancora in trincea e sempre in prima fila, il secondo ha terminato i corsi di allenatore nei primi anni 90 (quando avevo da poco l’incarico federale alla SIPaR) e nonostante il lavoro molto impegnativo ancora è in pista con la passione che lo contraddistingue, il terzo è il giovane del gruppo formato sempre nella mia gestione nei primi anni del terzo millennio, diplomato in Scienze Motorie è direttore di un centro psichiatrico, accetta sempre nuove sfide e sempre pronto ad ascoltare per crescere!!!
Ritengo che tutto sommato i migliori atleti dell’ultimo mondiale non si massacrano con l’allenamento…
Faccio un conto un po’ superficiale ma non credo di andare molto lontano dalla realtà:
il doppio allenamento nei tre atleti presi in esame (credo che anche altri atleti della loro società si sottopongano agli stessi impegni) non è presente durante l’intera programmazione, l’atleta fondista che necessità di chilometraggi decisamente superiori rispetto alle sue colleghe velociste donne, nei microcicli più vicini alle competizioni svolge circa 9 allenamenti (8 nel periodo di preparazione ma con utilizzo di mezzi alternativi a favore di quelli sul mezzo), anche di questi, alcuni sono con mezzi alternativi, durata di circa 90 minuti.
Se valutiamo la pianificazione delle altre due programmazioni riservate ad atlete velociste, potremo dire che il numero medio degli allenamenti settimanali scende di qualche unità.
Per l’atleta fondista c’è da considerare il maggior numero di competizioni in Italia e all’estero, nei periodi gara i tempi dei viaggi intercontinentali, i necessari recuperi successivi, portano ad una diminuzione nel conteggio totale degli allenamenti annuali.
Concluderei dicendo: se ci troviamo con atleti dalle caratteristiche fisiche buone, con competenze tecniche di alto valore, ottima/buona capacità di gestione tattica della gara (risultano più carenti le due atlete velociste, mentre l’atleta fondista di questa dote ne trae vantaggi importanti anche quando la condizione non è al top), voglia di vincere (credo), è sufficiente un allenamento giornaliero costante per 340 giorni l’anno di circa un’ora e mezzo.
Sapete dove sta il problema?
Questi giorni e ore di allenamento settimanali sono somministrate in quasi tutto il territorio nazionale soprattutto con le categorie giovanili (dai giovanissimi agli allievi) con il risultato che ci è ben noto a tutti…
Ricordo che circa 15 anni fa, fu la Sicilia a innescare questo modo distorto di preparare gli atleti, all’epoca nelle categorie giovanili portavano a casa oltre 20 titoli italiani, ma avevano anche 300 giovanissimi ed esordienti al campionato regionale!
Con l’influsso del “Grande Fratello” questo modo di operare veniva preso come riferimento positivo e un po’ tutta la penisola si è adeguata, il problema è che ancora Lui spinge su questa direzione…
Durante la lettura delle relazioni dei tre tecnici, mi sono soffermato maggiormente su qualche slide che certamente sarà stata chiarita sul posto in modo esaustivo, ma per chi le apre e le legge da casa, forse qualche dubbio può sorgere e necessitano domande per vari chiarimenti.
Mezzi e metodi di allenamento indicati:

  • Perché la preparazione atletica (Bocola), utilizzata costantemente nella periodizzazione annuale, atta al miglioramento delle varie componenti della forza non hanno dato quei miglioramenti tecnici necessari all’atleta (nell’ultimo mondiale evidenziata la mancata estensione degli arti inferiori soprattutto in curva e sul sinistro)?
  • Perché in nessuna relazione si parla di preparazione con metodo a “blocchi” oggi molto utilizzato negli sport di alto livello nei quali la stagione agonistica è molto lunga (la nostra è lunghissima)?
  • Perché i mezzi alternativi hanno una parte rilevante sul complesso, quando alcuni aspetti tecnico-tattici si possono migliorare solo utilizzando i pattini?
  • Gradini, gradoni (Alessi), metodologia importante che punta allo sviluppo delle componenti muscolari veloci ed elastiche oltre al lavoro pliometrico (meno rilevante nei fondisti), perché non dare le indicazioni sulle modalità del balzo (la modificazione dell’appoggio-spinta a livello plantare cambia nella sostanza il tipo di intervento muscolare), poi manca anche qualche numero per quantificare il volume di lavoro nelle varie tipologie di forza.
  • La salita (Alessi) pendenze impegnative 10-15%, credo sia complicato pensare che ci possa essere una “imitazione di gara”, queste pendenze possono essere utilizzate per potenziamento specifico (molto valide prima di andare in palestra) ma è certo che bisognerà fare attenzione alle quantità per evitare che il movimento realizzato si allontani dall’esecuzione corretta del gesto. Altra difficoltà trovare dopo i 200 metri il tratto successivo di 80 metri in pianura, in discesa sarà necessario per fermarsi!!!
  • La metodica dei cicli circadiani (Storti) per adattarsi al fuso hanno dato i risultati auspicati?
  • Nella slide riferita alla costruzione della base aerobica (Alessi) si fa riferimento a 90-120 minuti di lavoro e a una distanza di 20-25 km, sicuramente c’è da spiegarla meglio o ci sono degli errori nella battitura, se consideriamo per la base aerobica un lavoro ad andatura costante e se consideriamo che in un ora e mezzo si percorrono 25 km, la velocità media è di 16,66 km/h, a quella velocità l’atleta in questione neanche si scalda.

Punto 2 (dobbiamo cominciare a pattinare alla coreana)
Vi pongo una domanda:
“quali differenze sostanziali riuscite a ricordare, cosa riuscite a osservare e descrivere nella tecnica coreana (differenze tra maschi e femmine) rispetto ai fondamentali tecnici del pattinaggio in linea che presentavano Parra, Muse, Sanfratello, Dobbin, Hedrick, Mantia?”
Cambiati i diametri delle ruote, le lunghezze dei telai, le superfici degli impianti, nessun cambiamento sui fondamentali (ho parlato alcuni giorni fa con un istruttore di sci alpino, mi diceva che l’impostazione tecnica di oggi con i nuovi sci carving non cambia sostanzialmente quella che il nostro Tomba aveva con i vecchi sci).
Può secondo voi bastare l’informazione: pattina alla coreana, pattina più basso???
Certo che no, ecco l’importanza di effettuare raduni nei quali i tecnici siano in grado di correggere soggettivamente gli atleti conoscendo prima la tecnica poi applicare correttivi e strategie per modificare positivamente elementi ritenuti punti deboli del soggetto.       

Punto 3 (non dobbiamo specializzare i nostri atleti)
Ogni atleta parte da una base genetica di fibre muscolari che in qualche modo lo differenziano dagli altri.
Se è vero che l’allenamento può orientare e modificare alcune qualità del soggetto in base alle metodologie utilizzate, ritengo che se un atleta ha qualità muscolari ed organiche di un certo tipo queste dovrebbero essere esaltate.
Però il nostro uno sport, nel quale il mezzo meccanico e la sua tecnica facilitano e fanno la differenza, non può essere paragonato a quelli dove la locomozione umana è la tecnica.
Da anni molti atleti hanno buone prestazioni sia nelle gare veloci sia in quelle più lunghe (solo due grandi campioni possono essere catalogati fuori da questa realtà: Valentina Belloni 19 titoli mondiali sulle crono e 500 metri, Gregory Duggento 13 titoli mondiali solo sulle crono individuali), Derrek Parra dalla 300 alla maratona, Luca Presti dalla 300 alla doppia maratona, Chad Hedrick ha vinto tutto tranne la crono, Joey Mantia ha vinto tutto, Cecilia Baena dalla crono alle maratone, Andrea Gonzales dalla crono alle gare di fondo, lo scorso anno una piccola cinese terza sui 500 e terza sulla punti su pista, ultimo un giovane atleta fondista svizzero Livio Wenger nell’ultimo mondiale è rimasto fuori dai 12 nella crono solo per 1/100).
Sono convinto che per poter avere ottime prestazioni nella velocità non si deve più lavorare esclusivamente su quelle distanze prossime a quelle di gara e dove la sola fisiologia supporta il lavoro, a parte le 200 e le 300, già dalla 500 metri chi ha competenze tecniche e tattiche superiori fa la differenza.
Ma mi domando, se i vertici tecnici dicono ai tecnici di base queste cose e gli stessi che fanno parte della commissione tecnica mettono in atto il contrario, sarà il caso di chiarirsi?
     

Punto 4 (il pattino in linea è cambiato)
Ma chi lo ha detto? Su quali basi si fa questa affermazione?
Sapete cosa è cambiato?
Fino a 6-7 anni fa, si correva: USA contro Italia e qualche francese, poi è sopraggiunta la Colombia ma dava fastidio solo nel fondo e solo con Jorge Botero, ora gli altri non sono stati a guardare e sono cresciuti, anzi ci hanno superato e di brutto (ricordo che nel 1995 in Australia i cinesi arrivavano molto dietro ma tecnicamente già iniziavano ad avere una buona impostazione).
Quindi sono cambiate tatticamente le gare, c’è maggiore concorrenza, si va in podio con tre, quattro traguardi nella gara a punti.
Al mondiale si debbono schierare due atleti di altissimo valore se si vuole portare a casa il bottino pieno (i titoli mondiali 2011 su strada nel fondo maschile, vinti da un italiano e un francese entrambi dello stesso team, sono andati in porto solo perché c’è stata una forte collaborazione tra i due, le due nazionali hanno corso insieme con i loro migliori portacolori e il nostro secondo atleta ha corso come se fosse della Repubblica di San Marino!!!). 
E’ preoccupante vedere in Italia che gli atleti più forti possono andare a tutti i traguardi, non sono solo forti loro, non hanno una adeguata concorrenza e il livello medio oggi in Italia è decisamente basso.
Guardiamo oggettivamente cosa è successo all’ultimo mondiale e non tappiamoci gli occhi, il naso e la bocca.

Ho concluso questa mia riflessione su quanto vedo e su come si sta provando a risollevare una difficile situazione, precipitata non oggi eravamo in affanno già al mondiale 2006.
Vedo una buona volontà nel fare le cose ma non intravedo un condottiero capace di mettere il timone nella giusta direzione, chi deve darci la rotta non ha idea di dove voler andare.
Pensate alla situazione del paese Italia, se non fosse stato per il Presidente della Repubblica ancora sarebbero stati a raccontarci le solite favole e tutti in bancarotta!
In questo momento la Federazione si comporta come se avesse individuato in “Monti” un grande economista ma per il momento essendo ancora al terzo anno di Università lo attende con pazienza.
I tecnici che sono stati, solo ora, chiamati per relazionare sul loro lavoro che da anni fanno con competenza e dedizione, non possono però ancora prendere in mano il timone.
Il loro modo di navigare “con la barra dritta” non piace alla politica.  

L’APPRENDIMENTO AVVIENE DAL FARE CONSAPEVOLE DELL’ATLETA E DALLA SUA RIELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI FORNITE DAL TECNICO

Per il tecnico è un dovere deontologico conoscere con precisione il proprio sport negli aspetti tecnici, tattici, fisiologici, motivazionali, etc.
Il pattinaggio in linea fonda sugli aspetti tecnici un punto di forza imprescindibile.
La superficiale conoscenza di questi ultimi porta a dirottare le proposte didattiche sul campo della metodologia.
Grandi carichi di lavoro anche se poco legati al controllo delle esecuzioni tecniche portano subito a buoni risultati, con la conseguenza però che nel proseguo della carriera sportiva l’atleta privo di abilità del suo sport avrà blocchi insormontabili della sua crescita.
Da ricordare che buone prestazioni giovanili sono raggiungibili e correlate ad allenamenti di “potenza aerobica”, mentre per gli atleti di alto livello il mantenimento di ottime prestazioni si basano sulle loro competenze “tecnico-tattiche”.
E’ chiaro quindi che chi vuole tutto e subito senza prospettive future per l’atleta sceglierà la strada più breve dell’allenamento e non dell’insegnamento.
In questo particolare momento del pattinaggio italiano quello che manca è senza dubbio la presenza di atleti che sopra all’attrezzo si distinguano dalla media, insomma bravi pattinatori prima che forti atleti.

Dall’analisi dell’ultimo Campionato del Mondo di Yeosu una delle carenze registrate sulla totalità dei nostri atleti è legata all’incapacità di erogare velocità in modo individuale, inoltre questo limite viene messo ulteriormente in evidenza anche quando gli stessi atleti si trovano in scia di altri che invece sanno utilizzare tecnicamente bene il pattino.

 

 

 


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